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Published by Paolo Belloni on Gennaio 8, 2023
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  • Approfondimenti Tecnici
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Siamo esseri profondamente analogici, il mondo stesso lo è, la musica che ascoltiamo è stata creata e riprodotta in modo analogico fin dai suoi esordi, e per buona parte lo è ancora.
I suoni nascono analogici e arrivano alle nostre orecchie in modo analogico, quello che eventualmente cambia è come quei suoni vengono registrati, incisi, trasportati ed elaborati.
Se fino a pochi decenni fa esisteva solamente il metodo analogico, oggi è probabile che una parte del nostro sistema di riproduzione sia in parte digitale, come avviene ad esempio con i lettori CD e con la cosiddetta musica “liquida”.

Senza addentrarci nella discussione su quale sia il migliore tra questi due metodi, vogliamo focalizzarci su quella che a nostro avviso rappresenta la più grande e significativa differenza tra di essi, quella che li distingue in modo radicale in quanto afferisce alle radici stesse del loro funzionamento.

Potremmo dire in forma sintetica che l’analogico evidenzia in modo più o meno progressivo il proprio limite superiore. Ad esempio la distorsione di un altoparlante aumenta con l’aumentare dell’escursione, così come un amplificatore di potenza inizia a manifestare i propri limiti di dimensionamento man mano che si avvicina alla sua massima potenza. Entrambi esprimono un naturale “senso di fatica”, simile a quello che sperimentiamo in mille situazioni quotidiane: ad esempio, correndo ci stanchiamo molto più velocemente di quando camminiamo.
Potremmo quindi definire, in linea generale, la qualità dell’analogico come inversamente proporzionale all’ampiezza di ciò che deve riprodurre.

Nel digitale accade l’opposto: la qualità è direttamente proporzionale all’ampiezza del segnale che rappresenta, costituito dal numero di bit utilizzati per la sua codifica. Abbiamo infatti che un segnale con ampiezza massima utilizza tutti i bit disponibili (ad esempio 16 nello standard Red Book dei CD Audio), mentre i segnali più deboli possono utilizzare una quantità di bit inferiore, fino ad arrivare alla loro soppressione nel momento in cui il loro livello risulta inferiore al singolo bit (mi perdoneranno gli esperti per questa rappresentazione volutamente semplificata allo scopo di renderla maggiormente comprensibile e fruibile a tutti).

Quali sono le conseguenze di questo comportamento profondamente diverso di questi due approcci ?

Per rispondere dobbiamo considerare che, nella registrazione musicale, alcuni tipi di informazione hanno un livello solitamente molto basso, ma risultano fondamentali per una corretta riproduzione. Troviamo infatti in questo range molte delle armoniche superiori degli strumenti, che ne caratterizzano la timbrica, e la maggior parte delle micro-informazioni spaziali che definiscono l’ambiente in cui gli strumenti sono stati ripresi.
Risulta chiaro che la perdita di queste informazioni pregiudica la corretta riproduzione delle timbriche originali e la loro localizzazione spaziale all’interno della scena acustica ricreata.

Entrambi i sistemi sono comunque limitati: in basso dal rumore di fondo, in alto dal valore massimo gestibile (numero di bit, massima escursione lineare, ecc.). Questi limiti definiscono la massima escursione dinamica di ciascun sistema.

Quindi quale sistema preferire ?
Una risposta definitiva non c’è, se non che “dipende”, da molti fattori tra cui la complessità del sistema di cui ci si vuole dotare, il costo che si intende sostenere, la qualità che si vuole raggiungere, e quello a cui si è disposti a rinunciare.
Ognuno quindi troverà la risposta più corretta per lui.

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Paolo Belloni
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